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AN RICORDO - UN RICORDO

(La parte in italiano NON è la traduzione di quella ladina, ma è la poesia originale)

Purtroppo (o per fortuna, dipende dai punti di vista) il file musicale è danneggiato, per cui si può ascoltare solo l'ultima parte della canzone.
Il testo di questo brano è stato pubblicato nella rivista "LADÌN" anno XII n° 1 del Maggio 2015



il maestro

Una mattina in cui, come al solito, mi sono svegliato presto, quasi arrabbiato, mi sono chiesto perché non riuscivo a dormire come tutta la gente normale, almeno fino alle sei, sei e mezza. Poi ho pensato che, in fin dei conti, da sempre mi sveglio presto, fin da bambino. E l'associazione di idee mi ha riportato coi ricordi a quando, finita la scuola, andavo in vacanza a S. Donà di Piave (VE), dai nonni paterni.
Mia nonna Giovanna, chiamata da sempre Gina, era un persona molto religiosa, pregava in continuazione e tutte le mattine si alzava presto per assistere alla prima messa. Se per caso, mentre lei si preparava, mi alzavo per andare al bagno, ci incrociavamo mi chiedeva se volevo andare anch'io. E come potevo dire di no?
Allora, quando mi svegliavo presto, tiravo l’orecchio per ascoltare se si stesse preparando e, se sentivo dei rumori, fingevo di dormire finché non fosse uscita. Solo allora mi alzavo, anche se mi prendeva un po’ di rimorso per averla, anche se lei non lo sapeva, ingannata. E tutte le mattine quando tornava portava a casa il pane appena sfornato e, per noi bambini, una ciccolata “Duplo” di riso soffiato, su cui ci avventavamo con ingordigia.

Me penso de te, nonna Gina, ancora,
e can che te levèe su dabonora,

(ogni dì la menada l’era sempre la stesa)
par pariciate e po’ di’ a la mesa.

Finida la scola, l'era 'l ciaudo ruà
e iò céto e anca muci staréo a te scoltà,

sconto sote i nenẑuó, fermo no me muoveo,
parcé ienì a pe de te non guolèo.

Ma da chela prima funẑion de la dì
quasi parìa no te tornese pì,

e co ‘n tin de rimorso scomenẑèo la dornada,
che in bota sparia a la prima taẑada

che daréo sul pan ciaudo pena sfornà
o sul cicolato de riso sofià

che dute i dì co l'era bonora
tu te paricèe su la tola par sora.

E chel senẑa fin to sosurà,
autro no l’era che an continuo preà,

parcé sui to ciare (ma su dute i cristian)
nostro Signor al poiase le man.

Ẑerte ote te penso, desedà dal me sòn,
tra puoco anca nos, forse, none saron.

Ma 'l temp l'é pasà e sto mondo cambià
e incuoi al pan ciaudo e anca 'l riso sofià,

chel dolẑ saor adès no i l’à pi’,
l’è le iesie serade quasi duta la dì.


E ‘lora ‘n dolor, languido e sordo,
me ien inte te ‘l cuor al to ricordo.

Mi ricordo di te, nonna Gina,
di quando ti alzavi di prima mattina,

(un’abitudine, sempre la stessa)
per prepararti ad andare alla messa.

Era d’estate, finita la scuola,
ed io t’ascoltavo fra le lenzuola

zitto, fingendo ancor di dormire,
per non esser anch'io costretto a venire.

Ma da quella prima funzione del giorno,
attendevo con ansia il tuo ritorno,

appena roso da un po’ di rimorso, che svaniva, però, al primo morso

dato sul pane appena sfornato, o sul cioccolato di riso soffiato,

che, immancabilmente ogni mattina,
trovavo sul tavolo della cucina.

E quell’incessante tuo bisbigliare,
altro non era che un continuo pregare,

perché sui tuoi cari e su tutti i cristiani,
nostro Signore posasse le mani.

A volte ti penso, ridesto dal sonno:
forse fra poco anch’io sarò nonno.

Ma il tempo è passato, il mondo cambiato:
il pane ancor caldo ed il riso soffiato

non hanno più quel dolce sapore,
le chiese sono chiuse quasi tutte le ore.

E allora un dolore, languido e sordo
mi scende sul cuore al tuo ricordo.

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